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Il sito di Casale di Madonna del Piano nel comune di Castro dei Volsci, è situato a circa un chilometro dalla riva destra del fiume Sacco. La vita dell’insediamento può essere suddivisa in quattro periodi principali: un primo periodo rappresentato dalla villa di età tardo-repubblicana (I sec. a.C.), che si inpianta nella parte Nord del sito. Di essa rimane parte del muro di terrazzamento con piccoli contrafforti, il peristilio su cui si aprono alcuni ambienti, un vano absidato ad Ovest, che in età imperiale verrà trasformato in frigidarium (in questo periodo tutta la struttura sarà trasformata in un grande complesso termale noto come "Terme di Nerva"), un corridoio a Sud sul quale si aprono altri ambienti, di cui quelli ad Est distrutti dal grande calidarium delle Terme. La situazione orografica del sito (una collinetta terrazzata delimitata da un corso d’acqua) corrisponde alle caratteristiche descritte da Catone, Varrone e Columella nei loro trattati di agricoltura per le ville rustiche, cioè per le case di campagna dei ceti medio-alti romani, della fine dell’età repubblicana. Un secondo periodo, al quale si fa risalire l’impianto di una nuova villa posta più a Sud rispetto alla precedente e di cui sono state individuate due fasi (I fase di I sec. d.C. e II fase di II-III sec. d.C.): è alla fase più tarda che appartiene il grande complesso termale a Nord. Nella villa è stata individuata la parte destinata all’abitazione del dominus, distinta da altre due zone destinate molto probabilmente alla servitù e ai servizi, situate rispettivamente ad Ovest e a Nord-Est di quella padronale.
 
L’abitazione del dominus è costituita da un atrio centrale con corridoio e vasca rivestita in cocciopesto. Sul corridoio affacciano dieci ambienti: quelli sul lato Sud comunicanti tra di loro e alcuni anche con il corridoio; durante la seconda fase questa parte subisce notevoli cambiamenti sia strutturali, a causa della notevole umidità, sia decorativi. Il corridoio esterno lungo il lato Sud degli ambienti è riconvertito in canalizzazione che convogliava le acque provenienti da Est e da Ovest, immettendole, mediante un fognolo che attraversava anche l’atrio, nel collettore della villa, con scolo verso Nord-Est. I pavimenti degli ambienti vengono riccamente decorati in opus sectile (ovvero in tarsie marmoree) ed a mosaico, mentre la decorazione parietale doveva essere in intonaco dipinto. Successivamente, nel III sec d.C., il pavimento in opus sectile del primo vano a Sud dell’atrio, è sostituito da un pavimento musivo a tessere bianche e nere con decorazioni floreali; le stesse tessere musive, ma con decorazioni a sviluppo geometrico, ricoprono l’intero corridoio; gli altri ambienti presentano una pavimentazione in opus sectile con decorazioni geometriche (ad eccezione di un vano che presenta una decorazione lacunosa in opus sectile ma a motivi floreali), di notevole effetto cromatico.

A questi ambienti appartengono decorazioni parietali anch’esse in opus sectile a motivi geometrici, con prospetti architettonici, o con accenni ornamentali e floreali. Tutti i marmi presenti nella villa sono di notevole pregio e tutti di importazione come il serpentino, il giallo di Numidia, il rosso antico, il verde antico, il cipollino ecc. Ad Ovest della parte padronale una serie di strutture lascerebbero ipotizzare la presenza di due cortili paralleli con andamento Ovest-Est, su cui si aprivano ambienti quadrati di piccole dimensioni, forse destinati alle abitazioni della servitù. A Nord-Est invece sono stati rinvenuti degli ambienti probabilmente di servizio (rimaneggiati successivamente e riutilizzati nel VI-VII sec.d.C. per sepolture), di cui alcuni con tracce di suspensurae a testimoniare un sistema di riscaldamento per un piccolo “balneum” di solito prossimo alla cucina. Nel terzo periodo (IV sec. d.C.) l’insediamento subisce una radicale trasformazione: la pars urbana viene completamente abbandonata, come testimonia la totale assenza di reperti databili oltre il III sec.d.C., ed isolata dal resto dell’insediamento mediante tamponature (venne tamponata la porta tra due vani, isolando così tutta la zona residenziale e in uno di questi due ambienti vennero ammassati statue e marmi ridotti in frammenti).
 
Uno dei motivi dell’abbandono, oltre a quello economico, è ancora il problema dell’umidità, essendo la pars urbana la zona più bassa di tutto l’insediamento. Intonaci dipinti, laterizi da costruzione, frammenti di vasi vengono utilizzati come massicciata per rialzare il piano della zona Ovest, ove era la zona della servitù (la pars rustica) che viene radicalmente trasformata per la nuova destinazione d’uso come area di lavorazione. Anche la zona ad Est (la pars rustica destinata ai servizi) viene ampliata con l’aggiunta di altri vani, probabilmente ora ad uso abitativo. La villa diventa ormai latifondo, una grande proprietà agricola abitata dalla servitù addetta alla produzione ed alla lavorazione dei prodotti. Il quarto periodo (V-IX sec. d.C.) è quello in cui il sito vede la sua definitiva trasformazione che segna la fine del mondo romano e l’inizio di una nuova società. Nella pars rustica si impianta un edificio di culto, diviso in tre navate da pilastri (quelli del porticato preesistente) alternati a colonne di spoglio provenienti dalla villa.
 
Nel VII-VIII sec.d.C. cominciano i lavori di abbellimento dell’edificio, interrotti improvvisamente da un incendio, come documentano i materiali lapidei di decorazione, di cui alcuni in corso di rilavorazione, abbandonati alla rinfusa nell’edificio stesso. I dati relativi alla comunità che qui si riuniva vengono dall’analisi antropologica effettuata sui resti ossei di inumati rinvenuti nella necropoli che nel VI-VII sec.d.C. si impianta nelle strutture orientali della pars rustica della villa. La necropoli ha restituito tredici sepolture multiple, per un complesso di 165 inumati ed ogni sepoltura appare stratificata e tra uno strato e l’altro sono evidenti le tracce di uno strato di carbone minuto. Il fondo delle tombe era rivestito di “bessali” di riutilizzo.
 
La forma delle tombe è a cassa rettangolare o trapezoidale, la profondità complessiva è compresa tra 40 e 70 cm.. Alcune riutilizzano muri preesistenti, altre sono fosse terragne foderate con grossi conci calcarei. Le sepolture presentano sia inumati adulti di sesso maschile e femminile sia bambini e sono disposte secondo i due orientamenti N/S e E/O. Otto di queste sepolture hanno restituito in media 17-20 inumati in connessione anatomica e numerosi elementi di corredo; le altre cinque, maggiormente danneggiate, presentavano meno inumati e scarso corredo. Il corredo per la genericità dei materiali fa pensare ad una comunità autoctona connotata però da interferenze (un morfotipo con caratteristiche strutturali diverse da quelle della popolazione italiana autoctona), dovute ai grandi flussi aperti dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, dedita all’agricoltura e all’allevamento, che riusciva a fatica a mantenere una economia di sussistenza. Le cause dell’abbandono del sito di Madonna del Piano è a tutt’oggi sconosciuto, pur tuttavia, sulla base delle modalità inumative è stata avanzata l’ipotesi di mortalità repentina di un gran numero di persone a causa di un’epidemia.
 
 
 
 
 
 

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