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Abbazia di Montecassino

A nessuno che percorra l’autostrada del Sole, nel tratto che congiunge Roma a Napoli (uscita di Cassino), sfugge lo spettacolo che si offre lungo l’ampia valle del fiume Liri: una squadrata e candida costruzione è lì, ben piantata a 520 metri di altezza, sopra l’ultima propaggine di una catena di balze del monte Cairo. Il grande edificio è la maestosa Abbazia di Montecassino che si staglia sulla cima della montagna, ricoperta una volta da boschi di secolari querce e lecci ed ora da verdi-argentei ulivi, quasi a dominare la sottostante città di Cassino.

 

L’abbazia fu fondata nel 529 da San Benedetto da Norcia, ma venne devastata dai Longobardi (580), dai Saraceni (883), da un terribile terremoto (1349) e il 15 febbraio del 1944, durante l’ultimo conflitto, venne completamente rasa al suolo da un violento bombardamento degli Alleati. Con ostinata fedeltà, voluta ed annunciata dalle parole dell’Abate Ildefonso Rea dov’era e com’era, utilizzando i marmi superstiti, l’opera di ricostruzione, iniziata con la posa simbolica della prima pietra il 15 marzo 1945, ha restituito al mondo cristiano, e non solo, la più insigne delle abbazie benedettine quella stessa che secoli prima meritò la definizione di “Atene medievale nella notte di molti secoli " da parte del Gregorovius. L’opera di ricostruzione dell’intero complesso è avvenuto completamente a spese dello Stato italiano.

La storia dell’Abbazia è quella di una roccaforte culturale dalla quale, insieme al cattolicesimo, si sono diffuse l’arte, la lingua e le valenze di una nuova civiltà grazie all’opera tenace dei discendenti di San Benedetto il quale, per primo, con pochi compagni raggiunse l’Acropoli dell’antica Casinum sulla quale sorgevano numerosi templi pagani. Il Santo trasformò il Tempio di Apollo in Oratorio dedicato a San Martino, mentre sulla cima di un monte, là dove si trovava l’ara sacrificale, eresse un altro Oratorio intitolato a San Giovanni Battista, che divenne il primo nucleo dell’attuale Basilica.

Nell’allora piccolo complesso, Benedetto trascorse il resto della sua vita prodigandosi nell’assistenza dei bisognosi, compiendo numerosi miracoli e, soprattutto, scrivendo la storica “Regola”, redatta in 73 capitoli, nella quale ai tre voti di povertà, castità e obbedienza aggiunse l’obbligo del lavoro; il motto “Ora et Labora”, da allora è alla base del monachesimo benedettino. Il Santo si spense intorno al 547, pochi giorni dopo la morte della sorella Scolastica; le reliquie dei due santi sono conservate nella cripta sottostante il suntuoso altare maggiore della chiesa, pazientemente ricostruito recuperando le parti originali dell’opera di Cosimo Fanzago, uno dei più celebri architetti del Seicento napoletano.

Si entra nella Basilica oltrepassando tre grandi chiostri in successione, di cui il secondo, quello centrale detto anche del Bramante, costruito nel 1595, appare ingentilito dall’elegante Loggia del Paradiso e dalla presenza di un armonioso pozzo con ai lati le due marmoree statue settecentesche di San Benedetto e Santa Scolastica. Dei tre portali d’ingresso soltanto quello al centro è originale. Esso è opera bizantina dell’XI secolo, periodo in cui l’abbazia raggiunse l’apice del suo splendore con l’abate Desiderio, e riporta incise in lettere ageminate tutte le terre possedute. I due portali laterali, invece, sono opera contemporanea di Pietro Canonica del 1952 e raffigurano scene della vita di San Benedetto. L’interno, a tre navate, decorato da fastosi stucchi dorati è stato ricostruito su disegno originario seicentesco, arricchito nel secolo successivo dalla fastosa decorazione, riutilizzando quanto era stato possibile recuperare dal cumulo di macerie in cui l’abbazia era stata ridotta. Per quanto riguarda la parte pittorica, le volte un tempo dipinte dal napoletano Luca Giordano, sono state in parte decorate dagli affreschi di Pietro Annigoni, uno dei più celebri pittori del nostro secolo, e dalla sua scuola. Alla mano dello stesso si devono le varie e solenni figure ieratiche, tipiche della sua maniera classicheggiante, in controfacciata, nelle lunette della navata principale, ai lati delle finestre, nella cupola seicentesca, nei tondi e nei pennacchi del tamburo.

Sugli altari sono state collocate tele del XVII e XVIII secolo, di scuola napoletana. Non dobbiamo dimenticare che dall’VIII secolo in poi, l’abbazia fu un centro di cultura, soprattutto per l’opera di trascrizione delle opere antiche secondo le tecniche della scrittura beneventana, nell’Archivio è ubicato il famoso “Placito cassinese” dell’anno 960, noto per essere il primo documento che racchiude scritte del volgare italiano.
E nella Biblioteca, monumento nazionale, sono conservate preziosissime opere rare ed antiche tra cui 40.000 pergamene, codici,  manoscritti, il lezionario del 1068, i libri d’Ore (libri di preghiere per i laici), gli incunaboli del ‘400, le cinquecentine e numerose rilegature e rarità bibliografiche di minime misure, libri corali, disegni e stampe del ‘700 ed ‘800. Numerose sale, tra cui quella dei Bozzetti, quella iconografica di San Benedetto, quella dei ricami, fanno parte del Museo di Montecassino sorto nel 1980 in occasione del XV centenario della nascita del suo fondatore.
 
 
 
 
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